TOZZI E DURI. E la Vulnerabilità? Di Elena DDV Dragotto
In questi giorni ho letto la notizia di una giornalista televisiva indiana che, mentre era in collegamento con un inviato sul luogo di un incidente, ha capito immediatamente che tra le vittime dello schianto c’era anche suo marito, sposato appena un anno prima. Negli articoli che commentano l’avvenimento in rete si legge che la giornalista ha comunque portato a termine il notiziario senza battere ciglio. Questo comportamento ha scatenato una serie di apprezzamenti nei suoi confronti da parte di molti ed in particolare anche del governatore dello Stato che ha voluto incontrarla per manifestarle il suo apprezzamento. Cosa hanno apprezzato? Il sangue freddo e la professionalità.
Non posso immaginare lo shock emotivo occorso alla donna, scambiato per condotta professionale dai più, ma sono certa che in quel momento il suo Sé giornalista l’abbia mirabilmente protetta dall’impatto devastante che la notizia improvvisa le avrebbe procurato.
Personalmente sono stanca di una società e una cultura che inneggia al famoso “tozzi e duri” degli anni ‘70, dove mostrare la vulnerabilità e le proprie emozioni sembra essere da “mollaccioni” o poco professionale. Il messaggio che ormai da tempo ci viene proposto è quello di un essere umano che deve mostrarsi sempre forte, di successo, vincente, performante, reattivo, attivo, speciale, bello e giovane ad ogni costo. E come posso mostrarmi vulnerabile in un mondo così? Ormai solo nei talk show per fare audience, ma non certo nella quotidianità della mia vita.
Si continua a negare, non a caso, la condizione umana per eccellenza: la Vulnerabilità. Che ci rende insicuri, spaventati, paurosi, preda delle nostre emozioni. E’ vero che le parti di noi in cui siamo identificati fanno di tutto per non farcela sentire e per non farci mai trovare in quella condizione, ma è anche vero che continuando a negarla ci separiamo sempre più da noi stessi e dagli altri e non incontreremo mai la pietās.
Malgrado grandi avvenimenti, dalle Torri Gemelle del 2001 al terrorismo odierno, stiano indicando all’umanità di guardare alla propria Vulnerabilità, ancora non ci siamo arresi al fatto di doverci fare i conti, continuando invece a spendere tutte le nostre energie in re-azioni sempre più di chiusura e di aggressione, anziché nell’ascolto e in nuove modalità di accoglienza e di gestione.
Un abbraccio energetico alla giornalista, che ha gestito al meglio delle sue possibilità un destino terribile, e nello stesso tempo rinnovo il mio impegno personale e professionale affinché l’Umanità possa dare dignità e valore alla Vulnerabilità, come un dono prezioso da proteggere, da accudire e da offrire.