Palcoscenici
«Se l’abitudine ci porta a credere che il teatro debba iniziare con un palcoscenico, scena, luci, musica, poltrona… partiamo sulla strada sbagliata. Può essere vero che per fare dei film ci sia bisogno di una macchina da presa, di pellicola e degli strumenti per svilupparla, ma per fare teatro occorre solo una cosa: l’elemento umano»[1].
Peter Brook e Jerzy Grotowski parlano di “spazio vuoto” e di “teatro povero”; tali definizioni vogliono sottolineare che l’attore diventa l’elemento centrale del teatro. Gli esercizi, cui l’attore si sottopone, durante il training, mirano infatti allo sviluppo della consapevolezza e alla conoscenza delle dimensioni cognitiva, emotiva, corporea, e al loro rapporto di interdipendenza in quanto: «ognuno di essi è solo una parte dell’essere, e se una parte, quale che sia, prende il sopravvento sul tutto non può che derivarne sofferenza»[2]; per cui la via per il benessere e per la piena consapevolezza di sé non sembra trovarsi in una sola dimensione, ma in un armonico equilibrio tra di esse.
Per favorire un incontro autentico con se stessi, con gli altri e con le loro realtà interne, è necessario osservarsi, riconoscere i propri ruoli e raggiungere una maggior consapevolezza per poter scegliere.
Hal Stone, Ph. D. e Sidra Stone, Ph.D. non parlano di ruoli ma di «sé accettati» (la parte della propria personalità riconosciuta e sviluppata) e di «sé rinnegati» (la parte rimossa, rinnegata), entrambi i quali influenzano i nostri pensieri e il nostro agire sociale. La loro tecnica, definita «Il dialogo delle voci», sostiene che ognuno dentro di sé è composto da tante personalità in conflitto tra loro. Questo metodo offre la possibilità di rivolgersi direttamente a ogni sub-personalità (sia essa primaria o rinnegata), come se si trattasse di una figura in carne e ossa, con il proprio punto di vista, i propri bisogni, ecc… separandola dalla persona totale. Questa esperienza può fornirci informazioni personali in grado di aiutarci nella comunicazione con noi stessi e con gli altri.
Il teatro di P. Brook, quello di J. Grotowski e “Il dialogo delle voci”, hanno come prerogativa, quella di ascoltare, osservare e prendere consapevolezza dei limiti e delle potenzialità dell’essere umano, nel tentativo di “guarire” con l’arte, trovando, nella possibilità di creare, la medicina per curare il nostro sistema complesso: mente, corpo, emozioni.
Il Voice Dialogue è un buono strumento sia per gli attori che hanno voglia di conoscersi, di ampliare e affinare la propria consapevolezza di sé e dei vari personaggi da far vivere sul palcoscenico di un teatro, che per le persone che intraprendono un percorso di crescita personale e hanno voglia di scoprire i propri sé interiori da far vivere sul palcoscenico della vita.