Il rumore della paura
Ho letto con interesse un articolo del giornalista Enrico Franceschini del quotidiano La Repubblica dal titolo: Cent’anni di solitudine nell’era dei social network non abbiamo più amici.
Prende spunto da una grande indagine scientifica, condotta su un campione di tre milioni di persone e pubblicata sulla rivista Perspectives in Psychological Sciences, in cui gli scienziati della Brigham Young University, l’università dello Utah che ha condotto la ricerca, affermano che: “la solitudine rappresenta una minaccia alla salute simile all’obesità. Per la precisione, due volte più grave dell’obesità: le persone che soffrono di solitudine, riporta lo studio americano, hanno infatti un “rischio di mortalità” del 14 per cento più alto rispetto alla media”.
Proprio qualche giorno fa, con un’amica, ci si chiedeva quali sarebbero state le conseguenze future e i futuri adulti di questa società “connessa ma non in relazione”.
La vita, che è diventata indubbiamente più complessa, a mio parere è “semplificata” dall’uso che la quasi totalità delle persone fa della tecnologia, che permette di continuare a essere “poco complessi” e “molto basic” in quanto a intelligenza emotiva.
Infatti, ci si crea l’illusione che sia una connessione a eliminare la solitudine; un “Mi piace” di un “amico” per non sentire che forse la vita che stiamo vivendo non è quella che desideriamo. Oppure scattiamo e postiamo foto delle nostre emozioni del momento o dello spettacolo di fronte al quale ci troviamo, per non sentire quanto siamo impreparati e quanto poco capiente è il nostro contenitore emotivo, tanto da avere la necessità di “distrarci” costantemente con un messaggio o una foto su Facebook.
La fretta e la costante distrazione stanno erodendo lo spessore emotivo, il contenitore dove la nostra vita, come in un calderone, si trasforma dando nascita al nuovo.
E allora, la connessione h24 per 365 giorni l’anno, indubbiamente serve anche a tacitare quella vulnerabilità che la vita più complessa, dove non ci sono più certezze, sta facendo emergere in ognuno: non c’è più la garanzia del posto fisso a vita; una relazione di coppia che “dura per sempre”; la famiglia “unita”; i ruoli di genere definiti. Tutto è rivoluzionato e in trasformazione, nessun punto di riferimento a cui aggrapparsi. E per non fermarsi a sentire quella vulnerabilità/paura, ci si distrae, si fa “rumore”, chattando, postando, fotografando la nostra solitudine e la nostra paura dell’intimità, anziché fare silenzio e guardarle negli occhi.